La
fuga
dei
ricercatori
italiani
all’estero
non
fadibattere
solo
in
Italia:
gli
stessi
interessati
siconfrontano
sul
web
parlando
delle
proprie
esperienze,
in
ogni
spazio
che
viene
messo
loro
a
disposizione.
Tra
questi
il
portale
Lei
Web
che
tra
i
posts
dedicati
alla
salute
ne
ha
uno
dedicato
alla
"Vita
da
ricercatore".
A
scrivere
recentemente
è
stata
Cristina
Morganti-Kossmann,
professore
associato
di
neuroscienza
alla
Monash
University
del
Victoria
(Australia).
Nel
suo
post,
la
ricercatrice
spiega
perché,
secondo
lei,
nonostante
la
legge
appena
approvata,
difficilmente
i'
cervelli'
rientreranno
in
Italia.
Di
seguito
il
suo
intervento.
"Sembra
che
il
tema
della
fuga
dei
cervelli
all’estero
stia
davvero
occupando
una
buona
parte
delle
discussioni
sia
di
scienziati
che
dipolitici
italiani.
Qualcuno
di
noi
ricercatori
residenti
all’estero
avrà
forse
sentito
parlare
o
avrà
persino
partecipato
alla
Prima
Conferenza
Nazionale
sulla
Ricerca
Sanitaria
che
si è
tenuta
sul
Lago
di
Como
a
Cernobbio,
organizzata
dal
ministro
della
salute
Fazio,
lo
scorso
novembre.
Nonostante
l’invito,
purtroppo
non
ho
avuto
la
possibilità
di
allontanarmi
dal
lavoro.
Qualche
informazione
si
può
trovare
già
sulla
prima
pagina
dove
si
legge:
"La
Conferenza
nasce
come
momento
di
approfondimento
e
confronto
sugli
indirizzi
di
sviluppo
della
Ricerca
Sanitaria
ed è
un
luogo
di
incontro
privilegiato
per
il
mondo
della
Ricerca.
La
Conferenza
vedrà
partecipare
i
100
più
importanti
ricercatori
italiani
operanti
all’estero
invitati
dal
Ministero
della
Salute
con
l’obiettivo
sottolineato
più
volte
dal
Ministro
Fazio
di
promuovere
l’internazionalizzazione
della
ricerca
italiana
attraverso
l’istituzione
di
un
network
dedicato
a
tutti
i
ricercatori
italiani
nel
mondo
al
fine
di
valorizzare
al
massimo
i
saperi
e le
competenze
italiane
all’estero
nell’obiettivo
comune
di
contribuire
alla
crescita
del
Sistema
Paese".
Questo
sembra
davvero
un
passo
di
importanza
strategica
per
migliorare
la
condizione
della
ricerca
nel
nostro
paese
e
promuovere,
allargandola
a
paesi
più
affermati,
la
nostra
ricerca
biomedica
e
renderla
più
competitiva
a
livello
globale.
Inoltre
la
partecipazione
di
rappresentanti
dell’industria
alla
conferenza
potrebbe
aiutare
la
ricerca
italiana
ad
espandersi
nel
settore
della
commercializzazione
che
negli
ultimi
anniè
diventato
un
vero
focus
della
ricerca
applicata
al
fine
di
portare
profitto
e
intellectual
property
sia
ai
ricercatori
che
agli
istituti
di
ricerca.
Mi
auguro
che
questa
iniziativa
diventi
un
appuntamento
annuale
indipendentemente
dai
possibili
cambiamenti
del
quadro
politico
dei
prossimi
governi.
Inoltre
aggiungo
che
la
nostra
ricerca
è
ancora
troppo
dipendente
dalla
situazione
politicae
economica
del
momento.
Sempre
rimanendo
in
tema
ma
cambiando
di
poco
l’argomento,
l’altro
ieri
andavo
in
macchina
verso
l’istituto
(National
Trauma
Research
Institute)
che
si
trova
all’Alfred
Hospital
di
Melbourne
e
come
ogni
mattina
ascoltavo
il
programma
italiano
che
viene
trasmesso
duevolte
al
giorno
alle
8 e
alle
18
sul
canale
della
SBS
(Special
Broadcasting
Service),
una
rete
sia
televisiva
che
radiofonica
che
trasmette
programmie
notiziari
in
oltre
70
lingue.
Un’emittente
molto
attenta
alla
diffusione
della
cultura
di
tutti
i
gruppi
etnici
presenti
in
Australia
per
favorirne
l’integrazione
nel
nuovissimo
continente.
Riprendo
il
filo.
Ascoltavo
l’intervista
al
deputato
del
PD,
la
signora
Alessia
Mosca
che
ha
preso
l’iniziativa
sfociata
in
una
legge
appena
approvata
che
favorisce
il
rientro
di
ricercatori
italiani
dall’estero
con
sgravi
fiscali
credo
fino
a
tre
anni
maggiormente
vantaggiosi
per
le
donne
ricercatrici
perché,
ahimé,
siamo
ancora
in
minoranza
rispetto
ai
nostri
colleghi
dell’altro
sesso.
E
qui
ci
sarebbe
anche
un
altro
tema
da
approfondire
per
comprendere
i
motivi
che
scoraggiano
le
donne
a
intraprendere
questa
professione
di
certo
non
facile.
In
seguito
all’intervista,
la
giornalista
ha
contattato
diversi
ricercatori
italiani
residenti
all’estero
da
Hong
Kong
a
Londra
o
all’Australia
per
capire
cosa
ne
pensavano
del
nuovo
provvedimento.
Non
mi
sono
sorpresa
affatto
alla
reazione
decisamente
negativa
degli
intervistati
che
trovano
nei
paesi
che
li
ospitano
non
solo
una
migliore
qualità
di
vita,
ma
anche
maggiori
risorse
economiche
per
la
ricerca,
ottime
infrastrutture
e
una
semplicità
burocratica
tale
da
rendere
più
snelle
e
veloci
le
questioni
che
riguardano
la
gestione
di
istituti
e
dei
finanziamenti
per
la
ricerca.Mi
è
infatti
capitato
di
sentire
da
eccellenti
colleghi
italiani
con
cui
collaboro,
che
lavorano
presso
l’Università
di
Milano
o
l’istituto
privato
Mario
Negri,
che
nonostante
alcuni
dei
loro
progettifossero
stati
approvati
per
il
finanziamento,ancora
nei
mesi
successivi
i
fondi
non
eranostati
depositati
nelle
casse
dell’istituto.
Ora
moltidi
noi
sanno
che
la
ricerca
è
estremamentecompetitiva.
Ricordo
un
mio
carissimo
collega
americanoche
una
volta
disse:
se
hai
una
buona
idea
perun
progetto,
stai
sicura
che
qualcun
altro
ci
ha
già
pensato
prima.
La
ricerca
infatti
dovrebbe
essere
supportata
da
una
burocrazia
adeguata
perché
ritardare
gli
esperimenti
può
pregiudicare
la
divulgazione
di
importanti
scoperte
mediche
e di
conseguenza
la
reputazione
di
gruppi
di
ricerca
e
degli
istituti
a
cui
essi
appartengono". |