L’AMBASCIATORE
ALAIN
GIORGIO MARIA ECONOMIDES
HA
PRESENTATO LE CREDENZIALI
L’Ambasciatore Alain
Giorgio Maria Economides ha presentato
le Credenziali alla Corte di San
Giacomo. La cerimonia, ricca di colore,
di fasto e di regalità è, come vuole la
tradizione, un evento sociale di grande
importanza. Due carrozze con i cocchieri
in livrea rossa fiammante con i bottoni
dorati, sono arrivate alla sede di
Grosvenor Square, dove un Marshal del
Corpo Diplomatico ha prelevato
l’Ambasciatore con tutto il suo seguito
di Consiglieri, per il tradizionale
tragitto che dall’Ambasciata Italiana li
doveva portare a Buckingham Palace. Una
tradizione regale annotata nelle pagine
del ‘Times’ e del ‘Daily Telegraph’ come
l’evento più significativo della nostra
Diplomazia. Alla fine della cerimonia
delle Credenziali, un Vin d’Honneur è
stato offerto in Residenza per
festeggiare l’avvenimento. “Londra Sera”
per l’occasione, oltre a porgere le
congratulazioni e gli auguri, pubblica
in onore un raro documento tratto dal
diario di Dino Grandi uno dei più
prestigiosi ambasciatori della Storia
d’Italia nel Regno Unito.
“L'Ambasciata di
Londra”
“Arrivai a Londra il
30 luglio 1932. Trovai quasi deserta la
capitale britannica. La ‘Season’ cioè la
grande stagione che si celebra ogni anno
in Gran Bretagna dagli ultimi giorni di
aprile a fine luglio volgeva al suo
termine. Ogni anno, nei mesi di maggio,
giugno, luglio la grande metropoli,
capitale dell'Impero si rimetteva a
nuovo. Il clima è in genere mite nella
tarda primavera e nella prima estate; i
parchi e i giardini sono pieni di fiori.
Da tutte le parti dell'Impero,
d'Oltremare e da tutto il mondo
accorrevano turisti e visitatori.
Ricevimenti a Corte e nelle ambasciate;
i teatri rinnovavano gli spettacoli;
riaprivano i battenti le accademie,
mostre d'arte d'ogni genere e specie.
Visite di re e di principi stranieri.
Tutta Londra era in festa.
Verso la fine
di luglio aveva luogo il ‘Garden Party’
nei giardini di Buckingham Palace
offerto dai Sovrani e questo segnava il
termine della‘Season’. All'indomani di
questa data i Sovrani partivano per
trascorrere l'estate nei loro castelli,
e così l'alta società. Il Parlamento
chiudeva i suoi battenti. Tutti coloro
che potevano farlo se ne andavano in
campagna o all'estero; la vita normale
non riprendeva che ad ottobre, quando
aveva inizio la ‘piccola season’ nei due
mesi precedenti il Natale. Al mio arrivo
nella capitale britannica una sgradevole
sorpresa mi attendeva. Sei mesi prima,
era stata acquistata dal governo
italiano la nuova sede dell'ambasciata,
un grande palazzo di proprietà di Lord
Fitzwilliam in Grosvenor Square, attiguo
al palazzo del Duca di Portland. Non si
trattavadi un vero e proprio acquisto,
ma di un contratto d'affitto di 99 anni,
il tipico lease, del dirittoinglese. Si
trattava di una solida e vasta
costruzione dei primi dell'800 di un
severo stile vittoriano, con cortile e
scuderie annesse. Al posto delle
scuderie, il nostro governo aveva
costruito con criteri razionali un
edificio di tre piani destinato agli
uffici ed al servizio di cancelleria,
collegato al palazzo dell'ambasciata da
un lungo corridoio. Questo stabile era
già in perfetto ordine egià ospitava
uffici e cancelleria. Di regola il capo
missione diplomatico sceglie come posto
di lavoro una sala dell'ambasciata, io
scelsi invece una stanza al centro degli
uffici nell'edifio annessodove
lavoravano i miei collaboratori per
rimanere costantemente a contatto con
loro, assicurare il lavoro d'équipe e
dare un tono di maggiore familiarità ed
efficienza alla comune attività. Per
quanto concerne invece la sede vera e
propria dell'ambasciata i guai mi
apparvero effettivamente seri. Durante
le mie assenze da Roma a Ginevra,
l'ufficio case del Ministero aveva
creduto opportuno, anche a risparmio di
tempo, di affidare la sistemazione
interna, l'arredamento
dell'interopalazzo ad un architetto,
specialista dell'arredamento di
piroscafi di seconda classe. Qualche
mobile era già arrivato dall'Italia. Il
contrasto tra il severo stile vittoriano
e l'arredamento dozzinale in via di
sistemazione risultava un vero e proprio
obbrobrio. Non era possibile che
l'Italia, universalmente considerata
come la terra di bellezza e del buon
gusto, desse una così volgare
dimostrazione di sé nella capitale
dell'Impero Britannico. Non mi perdetti
d'animo, arrestai l'influsso degli altri
mobili, la cui maggioranza, per fortuna,
non era stata ancora spedita e proposi
al Ministero di destinare il tutto alla
sistemazione della nostra delegazione al
Cairo, riservandomi di trasmettere
proposte al mio ritorno a Roma il primo
settembre. Dai fondi messi a
disposizione dal governo per la
costruzione degli uffici e per la
sistemazione della sede dell'ambasciata
era rimasto un milione di lire, somma
notevole, ma insufficiente per la
sistemazione del grande palazzo di
Grosvenor Square. Profittai di quelle
settimane di riposo pervisitare i nostri
uffici consolari in Gran Bretagna, il
porto di Cardiff, le città industriali
come Liverpool, Manchester, Birmingham,
Glasgow e quindi Edimburgo, la capitale
della Scozia. Mispinsi fino a Inverness
e Aberdeen, la bella città costruita di
pietra bianca, con la sua famosa
università, le innumerevoli navi di
pescatori seguite in mare da nuvole di
bianchi gabbiani. Nel viaggiodi ritorno
mi soffermai ad ammirare i paesaggi
descritti da Walter Scott, col fiume
Tweed inmezzo a morbide colline che
l'erica fiorita stava già ricoprendo da
un mantello purpureo; più a sud New
Castle coi ruderi dell'Adrian Wall il
grande muro ed il valo costruiti
dall'Imperatore Adriano per fissare i
confini al nord dell'impero di Roma,
l'incantevole distretto dei laghi, le
mura romane di Chester, le foreste del
Galles, le terme romane di Bath, la
romantica Cornovaglia di ReArtù. Volli
visitare a volo d'uccello anche
l'Irlanda cattolica e celta.Al primo di
settembre, secondo le intese con il
Duce, facevo ritorno a Roma per
prelevare lamia famiglia a godere il mio
mese di vacanza. Non fu un mese di
vacanza. Il Duce mi ricevette
affabilmente a Palazzo Venezia, mi
domandò se ero soddisfatto del mio nuovo
lavoro, gli risposi che le prime
impressioni erano state ottime ma che
avevo bisogno del suo personale aiuto
perfare dell'Ambasciata una casa
d'Italia degna delle nostre tradizioni e
del regime. Non si trattava didenaro, i
fondi rimasti per l'arredamento
dell'Ambasciata mi bastavano se lui mio
avesse aiutatoa convincere alcuni
sopraintendenti delle Belle Arti e Musei
d'Italia ad utilizzare alcuni capolavori
ed oggetti d'arte depositati nei
magazzini e non esposti al pubblico per
ragioni di spazio. Il Ducemi promise che
l'avrebbe fatto subito, e lo fece. La
sovraintendenza delle Belle Arti di Roma
misea disposizione dell'Ambasciata di
Londra bellissimi mobili settecenteschi
depositati in magazzininon esposti al
pubblico e provenienti da Palazzo Reale,
Palazzo Farnese, Palazzo Barberini. La
Pinacoteca di Brera a Milano mi consegnò
due superbi Magnasco con due mobili di
valore, provenienti dai magazzini del
Castello Sforzesco. Palazzo Pitti in
Firenze, quattro ritratti delle ‘Amanti’
di Re Carlo II Stuart, dipinti del noto
pittore inglese Sir Peter Lily, pittore
di corte; erano stati commissionatia
Londra da un granduca Medici per
confrontare le bellezze delle donne
fiorentine conle bellezze delle donne
inglesi. I quattro ritratti facevano
così ritorno nella capitale britannica.
La Galleria degli Uffizi fu la più
generosa di tutti, mettendo a
disposizione dell'Ambasciata una ricca
collezione di arazzi provenienti dalle
famose arazzerie Medicee e che altro non
erano se non i doppioni di altri tesori
d'arte esposti al pubblico nella
Galleria degli Uffizi. Ma il colpo
grosso venne subito dopo. Aveva luogo
proprio in quel periodo il crollo
dell'impero finanziario di ungrande
industriale e finanziere torinese,
Riccardo Gualino, il quale possedeva una
delle più ricche collezioni private di
capolavori che esistesse in Italia. La
Banca d'Italia nella sua posizione di
creditrice era venuta in possesso di
tale collezione. Fui autorizzato a fare
una scelta per l'Ambasciatadi Londra dei
capolavori che più mi interessavano.
Scelsi per prima la Venere di Sandro
Botticelli. E Inoltre ‘Madonna col
Bambino’ di Guido da Siena; ‘San
Giovanni Evangelista’ di
LorenzoVeneziano; ‘Ascensione’ di
Giotto; ‘Leda con Cigno’ di Tiziano;
‘Ritratto di Sebastiano Veniero’
diTintoretto; ‘Venere e Marte’ di Paolo
Veronese; ‘il Guado’ di Rubens ed altri
altrettanto magnifici. Tutti questi
tesori d'arte, ad eccezione dei quadri
provenienti dalla collezione Gualino,
che allo scoppio della guerra vennero
trasportati nella Pinacoteca a Torino,
si trovano tutt'oran ell'Ambasciata di
Londra. Con l'arrivo nella capitale
britannica di questi splenditi
capolavori dell'arte italiana
pre-rinascimentale, rinascimentale e
post-rinascimentale che io avevo voluto
accompagnare di persona dall'Italia
all'Inghilterra, nasceva la nuova
Ambasciata d'Italia, un autentico museo
d'arte chesuscitò immediatamente
meraviglia ed ammirazione e che fu
costante oggetto di visite da partedi
uno scelto pubblico britannico. La
‘Venere’ di Botticelli fu naturalmente
collocata al postod'onore nella grande
sala dei ricevimenti ed ogni giorno
davanti al dipinto era rinnovato
l'omaggiodi un grande mazzo di freschi
candidi gigli. Non vi è dubbio che a
lavoro finito l'Ambasciatad'Italia
risultò la più bella, la più originale
la più ospitale fra tutte le ambasciate
nel Regno Unito.Le accoglienze con cui
io fui ricevuto nella capitale
britannica quale Ambasciatore d'Italia
furono spontane ed unanimi, dai sovrani,
al Governo, al Parlamento, nella stampa
e nella City. Questa cordiale simpatia
non venne mai meno, neppure durante i
periodi in cui tutto lasciava credereche
l'Inghilterra e Italia si trovassero
sull'orlo della guerra ed io, quale
Ambasciatore d'Italia, avevo il dovere
di difendere con lealtà, ma senza
riguardi, il buon diritto italiano ed il
mio Paese dalle ingiustizie e
sopraffazioni da parte britannica.
Potrei citare su questo tema
innumerevoli episodi a conforto di
quanto sto scrivendo. Accennerò per
tutti ad uno soltanto. Ai primi di
novembre di ogni anno ha luogo a Londra
un avvenimento di eccezionale
importanza: l'apertura della sessione
parlamentare. Si tratta di una cerimonia
che si svolge da secoli secondo un rito
che non ha mai subito mutamenti. Il Re o
la Regina, alla testa di un corteo, si
reca in un cocchio doratotrainato da
cavalli bianchi dal Palazzo Reale alla
Camera dei Lords e ai Comuni il discorso
dellaCorona. Dopo qualche giorno ha
luogo nella City un grande pranzo,
offerto dal Lord Mayor ad oltre mille
invitati scelti tra i rappresentanti di
tutte le classi sociali. Come ognuno sa,
Londra comprendeva storicamente tre
distinte città (oggi ne sono rimaste
solo due): la cosiddetta città del Recon
al centro St. James Palace, che resta
ancora oggi la sede storica dei Re
d'Inghilterra; la City,ossia la città
degli affari e dei mercanti, con al
centro la Guildhall, sede ufficiale del
Lord Mayor;la terza città, ormai
sparita, era costituita dal Porto con i
suoi marinai e le sue navi. I
Red'Inghilterra sono proclamati Re da un
Araldo che si reca a darne l'annuncio in
ciascuna delle tre distinte città. Al
pranzo del Lord Mayor partecipa il
Primo Ministro, il quale pronuncia un
discorso sulle relazioni della Gran
Bretagna coi vari paesi del mondo.
Ospiti d'onore, gli ambasciatori
stranieri annunciati a suon di tromba da
un araldo al loro ingresso. Gli
ambasciatori, accompagnatidall'intero
personale dell'ambasciata accreditato a
Corte, sfilano fra le due ali dei
convitatiper raggiungere una specie di
trono dove siede il Lord Mayor, con a
destra il Principe di Galles ea sinistra
l'Arcivescovo di Canterbury, capo
effettivo della Chiesa Anglicana. Il
percorso dall'ingresso sino al cosidetto
trono di Lord Mayor è piuttosto lungo.
Dal minor o maggior calore concui le due
ali dei convitati accolgono le missioni
straniere, viene giudicato lo stato di
buone o cattiverelazioni esistenti tra
il paese straniero e la Gran Bretagna.
Il protocollo di Corte fissava le
procedure secondo la data di
presentazioni delle lettere credenziali
al Sovrano. Il posto spettante
all'Ambasciata d'Italia seguiva
immediatamente quello dell'ambasciata
francese e precedeva quello
dell'ambasciata sovietica. Il passaggio
dell'ambasciatore e dell'ambasciata di
Francia era sempre accolto da una
formale dose di applausi che si
ripetevano ogni anno. Il passaggio
dell'ambasciatoree dell'ambasciata della
Russia sovietica da nessuno applauso, il
che si ripeteva ognianno. Che cosa - mi
domandavo non senza preoccupazione -
sarebbe accaduto per
l'Ambasciatad'Italia, date le condizioni
francamente cattive che esistevano in
quel momento tra i nostri paesi? Eravamo
infatti nel novembre del 1935. L'anno
più difficile, l'anno del conflitto
etiopico che portò i rapporti
italo-britannici a un grado di tensione
quale non si era mai verificato nella
storia dei due paesi. Le truppe italiane
avevano da poche settimane varcato il
Magreb, confine tra la nostra colonia
Eritrea e l'Impero Etiopico, e l'Etiopia
era un campo di battaglia. Ogni sabato
folle di dimostrantiinglesi si
ammassavano davanti all'Ambasciata
d'Italia dando luogo a dimostrazioni
ostili al grido di: ‘chiudete il Canale
di Suez’. È impossibile, pensavo, che la
folla dei convitati per il pranzo alla
Citynon ricevesse a suon di fischi il
passaggio dell'Ambasciata d'Italia. Tale
dimostrazione era ovvia enaturale,
considerando gli spiriti accesi della
folla britannica e la sempre crescente
ostilità popolare contro l'Italia.
Raccomandai ai miei collaboratori, tutti
in uniforme diplomatica di gran gala,
un'aria disinvolta, né timida, né
spavalda: procedere dietro di me
sorridendo educatamente, col mento in
alto, apasso lento, ignorando i fischi e
le manifestazioni di ostilità dalle
quali saremmo stati accolti. Non
nascondo che quando l'araldo annunciò
con uno squillo di tromba il nostro
ingresso, mentre si spegneva l'ultimo
formale applauso per l'ambasciatore di
Francia, una certa trepidazione
miinvase. Ma tirai diritto. Sino a metà
tragitto fummo accolti da un silenzio
sepolcrale poi, ad un tratto,un
applauso. Poi dieci, cento, mille
applausi. Una vera dimostrazione di
simpatia di gran lunga superiore a
quella tributata alla Francia.
L'applauso continuò sino a quando non
raggiunsi il podio di Lord Mayor, al
quale presentai i complimenti di rito.
In quello stesso momento, l'Arcivescovo
di Canterbury disse ad alta voce:
‘Signor Ambasciatore, Voi vi rendete
conto che questi applausi sono diretti
alla Vostra persona, non al Paese che
rappresentate’. Risposi: ‘Ma io non sono
una persona sono la bandiera del mio
Paese’. Intervenne a questo punto il
Principe di Galles il quale, sempre a
voce alta, disse e ripetè due volte:
‘Ben detto! ben detto!’ La folla dei
convitatiche si era avvicinata rinnovò
con toni più alti l'applauso. Respirai!
Tutto era andato per il meglio.È
secolare che i Sovrani inglesi
trascorrono le festività pasquali al
Castello di Windsor. Il Castellodi
Windsor è davvero un castello da fiaba.
Costruito sopra un'altura, ai suoi piedi
si estende unimmenso parco boschivo, un
infinito mare verde che ha per confini
l'orizzonte. Il castello contienela più
grande raccolta di disegni originali di
Leonardo da Vinci. La grande torre
normanna, fucostruita - così dice la
leggenda - da Guglielmo il
Conquistatore. Re Giorgio V e la Regina
Maria -Queen Mary è stata una grande
Regina - per le feste di Pasqua del 1933
invitarono mia moglie e mead essere loro
ospiti per un fine settimana. Con
amabilità regale la Regina volle
accompagnarci di persona
nell'appartamento indicato, e
lasciandoci ci disse: ‘Qui abitava Anna
Bolena, non è improbabile che questa
notte voi avvertiate la presenza del suo
fantasma’. Nessun fantasma disturbò il
nostro sonno. Soltanto qualche piccolo
rumore dovuto evidentemente a piccoli
topi intenti a roderequalche vecchio
mobile. Gli inglesi credono ai fantasmi
e ci credono sul serio. Non vi è alcun
rispettabile castello nell'intera Gran
Bretagna che non abbia il suo fantasma.
Durante i nostri setteanni di permanenza
nel Regno Unito siamo stati innumerevoli
volte ospiti di antichi castelli, ma
fantasmi non ne abbiamo incontrati mai.
Evidentemente, i fantasmi inglesi hanno
un'allergia per noi, gente del sud. Al
termine dei due pranzi del sabato e
della domenica, una banda militare
scozzese,in alta uniforme, fece tre
volte il giro della sala per dare, con
pifferi e cornamuse, la buona notte ai
Sovrani ed ai suoi ospiti. Di tutti i
‘weekends’ trascorsi in Inghilterra
quello del Castello di Windsorresta il
ricordo più gradito ed indimenticabile
per la squisita gentilezza dei Sovrani e
per la loro regale ospitalità”.
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